IL TRIBUNALE

    Nel procedimento n. 542/2000 e in esito all'udienza di giovedi' 9
novembre 2000, ha pronunciato la seguente ordinanza.

                              F a t t o

    Con  decreto pronunciato a sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998,
il   prefetto   di   Reggio   Emilia   disponeva   l'espulsione,  con
accompagnamento  alla  frontiera, nei confronti della straniera Bicja
Esmeralda nata a Elbasan (Albania) il giorno 2 dicembre 1978).
    Tale   decreto   prefettizio   veniva   notificato  alla  persona
interessata in data 4 dicembre 1998.
    Con  decreto  del  questore  di  Milano,  poi, veniva disposto il
"trattenimento"  di tale persona nel centro di via Corelli in Milano,
poiche'  il  questore  (barrando  la casella apposita) aveva ritenuto
sussistente  il presupposto relativo alla mancanza di vettore. Questo
secondo decreto veniva notificato in data 7 novembre 2000.
    Gli   atti   relativi   alla   notifica   dei   sopra  menzionati
provvedimenti  amministrativi  venivano  infine  depositati presso la
Cancelleria del tribunale in data 8 novembre 2000 alle ore 12.
    A  questo  giudice,  a  norma  dell'art. 14 d.lgs. citato, e' ora
demandato  di  convalidare  il  provvedimento di"trattenimento". Cio'
dovrebbe avvenire in esito a un'udienza camerale, trattata secondo il
rito  disciplinato  dagli  artt.  737  e  ss.  c.p.c.  (espressamente
richiamati dall'art. d.lgs. n. 286/1998).
    Con  tale  atto  giudiziario  di  "convalida", oggi, sulla scorta
della  sola  documentazione amministrativa fornita dal prefetto e dal
questore  (o meglio, sulla scorta dei due soli decreti sopra indicati
e  delle  relative  notificazioni),  senza  alcun  potere istruttorio
ufficiale, si dovrebbe pertanto:
        verificare   che   il   fascicolo  amministrativo  sia  stato
depositato  in  Cancelleria  entro  quarantotto ore dal momento della
notifica  del  provvedimento questorile (momento che si deve ritenere
coincidente con quello di inizio del "trattenimento");
        verificare  che  nel  modulo  prestampato, che costituisce il
decreto  di  "trattenimento",  sia  stata  barrata  almeno  una delle
caselle  poste  a  fianco  delle  frasi  che  riproducono il disposto
normativo circa i presupposti del medesimo "trattenimento";
        verificare  che,  dal momento del deposito in Cancelleria del
fascicolo amministrativo a quello dell'inizio della presente udienza,
non siano trascorse piu' di quarantotto ore;
        sentire  la  persona  trattenuta, alla presenza del difensore
avvisato dalla Cancelleria dopo il deposito degli atti.
    Qualora  il  "controllo"  in questione dia esito positivo, questo
giudice dovrebbe infine procedere alla convalida.
    Al  momento  fissato  per l'audizione della persona "trattenuta ,
tuttavia,  la  stessa era gia' stata allontanata da via Corelli (cfr.
verbale  dell'udienza  9 novembre 2000 ore 11,40), sicche' il giudice
non  ha  potuto  procedere al suo interrogatorio e si e' riservato di
decidere successivamente.
    Invero,   la   legge   (e  prima  ancora  la  Costituzione  della
Repubblica)  prevede che il giudizio di convalida del "trattenimento"
debba   aver   luogo  indipendentemente  dall'eventuale  sopravvenuto
accompagnamento  alla  frontiera,  sicche'  non  pare  legittima  ne'
sufficiente  una  mera  pronuncia di non liquet, dovendosi per contro
esaminare anche in questo caso la legittimita' del trattenimento come
sopra disposto e materialmente attuato.
    Si devono pertanto svolgere le seguenti osservazioni in:

                            D i r i t t o

    Ritiene  il  remittente opportuno premettere che, in questa sede,
dovendosi   unicamente   confrontare  l'astratta  corrispondenza  del
provvedimento  amministrativo  che  dispone  il  trattenimento con la
previsione  di  legge,  non  ci  si potra' soffermare sui presupposti
dell'espulsione,   ne'   sulle  sue  finalita'  ne'  sulle  modalita'
esecutive dell'accompagnamento.
    Pertanto   va   subito   sottolineato   che   i  dubbi  investono
direttamente,  tutti  e  solo,  la  disciplina della presente udienza
camerale.
    D'altro  canto il remittente non ignora le precedenti pronunce di
codesta  Onorevole  Corte,  in  particolare  la sentenza 3-7 febbraio
2000,   n. 31   (che,   per   gli   obblighi  derivanti  da  trattati
internazionali,   ha   dichiarato   inammissibile   la  richiesta  di
referendum volto ad abrogare l'intero testo unico di cui al d.lgs. 25
luglio  1998  n. 286)  e prima ancora la sentenza 13-21 novembre 1997
n. 353  (che,  per  l'impossibilita'  di eludere da parte dello Stato
l'obbligo  di  presidiare  le  proprie  frontiere,  ha dichiarato non
fondato  un  dubbio  di  legittimita'  sollevato non dal tribunale di
Milano,  bensi'  dal  tribunale  amministrativo  regionale del Lazio,
circa la negazione di tutela delle persone straniere anche per i casi
umani piu' dolorosi).
    In  altri  termini,  lo scrivente non puo' non prendere atto che,
come  osservato appunto nella sentenza 353/1997, "le regole stabilite
in  funzione  d'un  ordinato  flusso  migratorio  e  di  un  adeguata
accoglienza vanno ... rispettate".
    Lo  scrivente, peraltro, neppure puo' trascurare di osservare che
proprio  la  legge  in  tema  di  immigrazione  e di condizione delle
persone  straniere,  per  esempio  all'art. 13,  comma  8, del d.lgs.
n. 286/1998, sancisce solennemente che la persona straniera "comunque
presente  ...  nel  territorio  dello Stato" (e quindi anche a chi vi
soggiorni  in  modo non conforme alle leggi) gode tuttavia di tutti i
diritti  fondamentali dell'essere umano, come espressamente stabilito
anche  dall'art. 2,  comma 1, del d.lgs. n. 286/1998; "allo straniero
comunque  presente  alla  frontiera o nel territorio dello Stato sono
riconosciuti  i  diritti  fondamentali  della  persona umana previsti
dalle  norme  di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in
vigore   e   dai  principi  di  diritto  internazionale  generalmente
riconosciuti".
    Tale  osservazione, d'altra parte, risulta confortata anche dalla
recente  sentenza  8-16  giugno  2000,  n. 198,  di codesta Onorevole
Corte.
    Orbene,  poiche'  appare  difficile  credere  che  il legislatore
nazionale   si   sia  voluto  limitare  a  enunciare,  sia  pure  con
altisonanza,  il  principio della pari dignita' del cittadino e della
persona   straniera,  senza  poi  riconoscergliela  nelle  situazioni
concrete;  poiche' insomma pare difficile supporre che il legislatore
nazionale  abbia  davvero  inteso  sterilizzare  a  priori ogni seria
possibilita' di difesa, di azione e di tutela dello straniero, quanto
meno nella presente fase, appare allora doveroso svolgere le seguenti
osservazioni.
    Muovendo   dalla   condizione  giuridica  dello  straniero  anche
irregolarmente  soggiornante nel territorio italiano, considerando la
natura   reale   del   "trattenimento",   esaminando   poi  le  norme
costituzionali   rilevanti  in  materia,  si  potranno  forse  meglio
delineare  i dubbi di legittimita' costituzionale della normativa che
dovrebbe essere oggi applicata dallo scrivente.
              I diritti costituzionali dello straniero
    L'approccio  interpretativo  prevalente  in dottrina e' nel senso
che i diritti inviolabili ineriscono alla persona in quanto tale, si'
che  essi devono essere pienamente riconosciuti anche in favore degli
stranieri,  compresi  quelli  che si trovino in posizione formalmente
irregolare.
    Quanto  alla  giurisprudenza costituzionale, anch'essa, sin dalla
sentenza n. 120 del 1967, ha affermato che "se e' vero che l'articolo
3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, e' anche certo che il
principio  di  uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi
di rispettare [...] diritti fondamentali".
    Per  questo  anche  a  tutti  gli stranieri e' stata riconosciuta
un'ampia  serie  di  diritti  fondamentali:  il diritto alla liberta'
personale,  il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza,
il diritto alla tutela giurisdizionale, la liberta' di manifestazione
del pensiero, la liberta' di associazione, il diritto alla segretezza
della  corrispondenza,  la  liberta'  di  religione,  il diritto alla
salute, i diritti di famiglia.
    Proprio   in  tema  di  diritto  di  famiglia,  di  recente  tale
riconoscimento  e'  avvenuto  con  varie  pronunce  che hanno accolto
altrettante eccezioni di illegittimita' costituzionale:
        la   sentenza   12-27  luglio  2000,  n. 376,  ha  dichiarato
illegittimo  l'art. 17 comma 2 lettera d, della legge 6 febbraio 1998
n. 40,  poi  trasfusa  nell'art. 19,  comma  2  lettera d, del d.lgs.
n. 286/1998,  in  quanto non estendeva il divieto di espulsione anche
al  marito  convivente  della  donna in stato di gravidanza o nei sei
mesi  successivi  alla  nascita  del figlio, in quanto tale omissione
risultava  ledere  i principi di protezione dell'unita' familiare e i
diritti  umani  fondamentali  inerenti  la comune responsabilita' dei
genitori  nell'educazione dei figli; la Corte ha infatti ritenuto che
la legge ordinaria avesse violato in quel caso gli artt. 2, 3, 10, 29
e  30  della  Costituzione, nonche' la Convenzione europea 4 novembre
1950  per  i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata
dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848;
        la  sentenza  17-26 giugno 1997, n. 203, richiamando la n. 28
del  1995, ha affermato che "la garanzia della "convivenza del nucleo
familiare  si  radica  "nelle  norme  costituzionali  che  assicurano
protezione  alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa, ai
figli minori ; e che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed
educare i figli, e percio' tenerli con se', e il diritto dei genitori
e  dei  figli  minori  ad una vita comune nel segno dell'unita' della
famiglia,  sono  (...) diritti fondamentali della persona che percio'
spettano in via di principio anche agli stranieri";
        la   sentenza   6-13  febbraio  1995,  n. 34,  ha  dichiarato
illegittimo   l'art. 7-bis   del   d.l.  30  dicembre  1989,  n. 416,
convertito  nella  legge  n. 39/1990, nella parte in cui prevedeva il
reato  dello  straniero  che  non  si  fosse "adoperato" per ottenere
dall'autorita'  diplomatica  o  consolare  il necessario documento di
viaggio;  la  Corte ha infatti ritenuto che una definizione normativa
cosi'   generica,  priva  di  un  referente  naturalistico  concreto,
violasse  l'art. 25  Costituzione  siccome  non  era  rispettosa  del
principio  di  tassativita' della fattispecie contenuta nella riserva
assoluta  di  legge  in  materia penale, principio consacrato appunto
nell'art. 25  della  Costituzione  e dunque valido anche per tutte le
persone straniere.
    Ma pure altre recenti pronunce, pur dichiarando la non fondatezza
dei  dubbi  prospettati  in  quanto  alle lamentate lacune si sarebbe
dovuto sopperire con una diversa interpretazione da parte dei giudici
di merito, hanno riaffermato che anche in capo alla persona straniera
comunque  presente  sul  territorio  italiano  vanno  riconosciuti  i
diritti  fondamentali della persona umana, e in particolare quello di
difesa ex art. 24 Costituzione:
        la  sentenza  8-22  giugno  2000, n. 227, ha affermato che la
persona  straniera ha sempre diritto a conoscere, nella sua lingua, i
provvedimenti coercitivi o comunque pregiudizievoli adottati nei suoi
confronti (nella specie, il provvedimento prefettizio di espulsione),
trattandosi   fra   l'altro   di  un  diritto  garantito,  oltre  che
implicitamente dall'art. 24 della Costituzione, anche dall'art. 1 del
protocollo  n. 7  alla  convenzione  per  la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali, adottato a Strasburgo il 22
novembre 1984, ratificato e reso esecutivo dall'Italia con la legge 9
aprile 1990, n. 98; dall'art. 13 del patto internazionale relativo ai
diritti  civili  e  politici,  fatto  a New York il 19 dicembre 1966,
ratificato con la legge 25 ottobre 1977, n. 881);
        la  sentenza  8-16 giugno 2000, n. 198, aveva precedentemente
enunciato   affermazioni   analoghe,   fornendo  una  interpretazione
adeguatrice   dell'art. 13,   comma   8  del  d.lgs.  n. 286/1998,  e
rinnovando  espressamente  l'affermazione  che  "lo  straniero (anche
irregolarmente  soggiornante)  gode  di  tutti i diritti fondamentali
della  persona  umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio
effettivo  implica che il destinatario di un provvedimento,variamente
restrittivo  della liberta' di autodeterminazione, sia messo in grado
di comprenderne il contenuto e il significato";
        analogamente  aveva  stabilito codesta Onorevole Corte con la
sentenza  12-19  gennaio  1993,  n. 10,  respingendo l'eccezione gia'
allora  sollevata  dall'Avvocatura  di Stato, secondo cui il rispetto
del  principio  di  uguaglianza  non impone una assoluta identita' di
trattamento normativo per situazioni oggettivamente diversificate; in
tale  occasione  la  Corte  aveva  anche  ricordato  che  "il diritto
dell'imputato  ad  essere immediatamente e dettagliatamente informato
nella   lingua   da   lui   conosciuta  della  natura  e  dei  motivi
dell'imputazione   contestatagli  dev'esser  considerato  un  diritto
soggettivo perfetto, direttamente azionabile", ricordando altresi' il
principio  della effettiva partecipazione dell'imputato allo sviluppo
della   sequenza  procedimentale  come  intrinsecamente  connesso  al
diritto   di   difesa   di  cui  all'art. 24  della  Costituzione,  e
sottolineando  che  tale  principio  va  riferito a tutte le fasi del
processo.
    Da  un  simile  quadro  giurisprudenziale,  emerge dunque in modo
assolutamente  inconfutabile  che  qualunque  essere  umano, e dunque
anche  ogni  persona  straniera,  comunque  presente  nel  territorio
italiano,  come  ha espressamente proclamato codesta Onorevole Corte,
"gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana".
                    La detenzione amministrativa
    Il "trattenimento" nei "centri di permanenza temporanea" e' stato
istituito  dalla  legge  n. 40/1998  e  poi trasfuso nell'art. 14 del
d.lgs.  n. 286/1998. Esso ha il dichiarato scopo di superare i limiti
ravvisati  circa la cosiddetta legge Martelli, costruita intorno all'
istituto  dell'intimazione  ad abbandonare il territorio dello Stato,
cui  l'accompagnamento coatto alla frontiera seguiva solo nei casi di
inottemperanza,  nonche'  i limiti del successivo decreto Conso (d.l.
n. 107/1993),  leggi sulle cui ceneri e' poi nata la legge n. 40/1998
(Napolitano  -  Turco),  ora  raccolta  in  testo  unico  nel  d.lgs.
n. 286/1998.
        che   tale   "trattenimento"   abbia  introdotto  nel  nostro
ordinamento  la detenzione amministrativa, risulta innegabile sol che
si consideri che esso si connota:
        come  una restrizione della liberta' personale per un periodo
di   venti   giorni   (prorogabili   a   trenta),   periodo  peraltro
indefinitamente   e   discrezionalmente  reiterabile  fino  a  quando
l'espulsione  non  sia  eseguita  (cio'  che  ben  puo'  dipendere da
elementi    sottratti    alla    volonta'   dello   straniero,   come
l'indisponibilita'  del vettore o la mancanza di collaborazione delle
autorita' consolari estere per la sua identificazione);
        come  una  sanzione, benche' senza reato da espiare, disposta
con un atto amministrativo sostanzialmente discrezionale anziche' con
atto  dell'autorita'  giudiziaria  motivato  sia  sui presupposti sia
sulla durata;
        come    atto   amministrativo   soggetto   a   un   controllo
giurisdizionale  che,  se  non altro a causa della procedura camerale
prescelta,  risulta  decisamente  attenuato  nel  suo contenuto e per
l'effettivita' del contraddittorio che lo precede;
        come  condizione  avverso la quale la persona che vi si trova
e' sostanzialmente neutralizzata nell'esercizio dei diritti effettivi
di difesa;
        come  un  istituto  per  la  tutela della cui effettivita' la
legge  attribuisce  notevoli  poteri  all'autorita'  di  polizia (per
esempio  il  potere - ex art. 13, comma 7 del d.lgs. n. 286/1998 - di
ripristinare  senza  ritardo  la  "misura"  qualora  essa  sia  stata
violata);
        come  una  misura  destinata  ad  incidere  notevolmente, per
l'intensita'  e la durata di compressione della liberta' fisica dello
straniero  da  espellere, sul diritto fondamentale tutelato dall'art.
13 della Costituzione.
    In    questo    modo,   al   sottosistema   strettamente   penale
(tendenzialmente    improntato    al    rispetto    delle    garanzie
costituzionali)  e  al  sottosistema  di polizia e di ordine pubblico
(motivato da istanze di difesa sociale e quindi disancorato da quelle
garanzie),  si  e' deciso di affiancare una sorta di diritto speciale
dello  straniero. Tale diritto speciale si distingue per il fatto che
crea una condizione che sottopone l'immigrato a continui controlli di
polizia,  a  cagione  della  ritenuta  natura  perpetua dell'illecito
amministrativo  che  gli  si  imputa (ossia l'ingresso irregolare nel
nostro  paese),  e  che  neppure  una  condotta  virtuosa, per quanto
protratta  nel  tempo,  potra'  mai  valere a sanare, a differenza di
quanto  accade  per  i  delitti  grazie a istituti sia ordinari) (per
esempio  la  sospensione condizionale della pena e la riabilitazione)
sia   straordinari   (come  l'amnistia)  che  il  nostro  ordinamento
appronta.
    Trattandosi  di  misura notevolmente afflittiva, il cui contenuto
e'   assolutamente  comparabile  alla  custodia  in  carcere,  appare
evidente  che  anche  alla  detenzione amministrativa, definita dalla
legge  "trattenimento in un centro di accoglienza", devono applicarsi
le garanzie previste dai diritti fondamentali della persona umana.
    Dunque,  dovendosi  riconoscere per gli argomenti innanzi svolti,
che  il  principio di eguaglianza vale anche per tutti gli stranieri,
e'  inevitabile  individuare  nel  regime  penalistico,  per  esempio
dell'arresto,   il  tertium  comparationis  necessario  ai  fini  del
controllo di ragionevolezza e di uguaglianza, in relazione all'art. 3
della Costituzione.
               I dubbi di legittimita' costituzionale
    Il  remittente,  astretto  da una disciplina palesemente intesa a
consentire  al  giudice  solo  un  burocratico  controllo  astratto e
formale,  una  disciplina  che appare solo formalmente ossequiosa del
precetto  costituzionale,  sottopone  pertanto  al  vaglio di codesta
Onorevole Corte i seguenti dubbi.
    L'art. 14,  comma  4,  testo  unico  n. 286/1998  dispone  che il
giudice  debba  osservare  per  la convalida la procedura di cui agli
artt.  737  e ss. c.p.c. Tale procedura si applica normalmente, e per
la  sua  stessa  natura,  a  oggetti  sostanziali che non incidono su
diritti  o  non  incidono  in  posizione  di  contrasto, tanto che e'
destinata  a concludersi con provvedimenti strutturalmente revocabili
modificabili  e  quindi  inidonei  a  passare  in  giudicato.  Queste
caratteristiche  strutturali  danno  origine  a procedimenti camerali
semplificati   rispetto   ai   quali  risulta  ragionevole  la  forte
attenuazione  delle  garanzie del contraddittorio e delle prove cosi'
come  l'impugnabilita'  attraverso  semplice reclamo. Ebbene, in tale
parte  il  menzionato  art. 14, comma 4, pare essere in contrasto con
gli  artt. 3,  10, 13 e 24 della Costituzione, poiche' deve dubitarsi
che una simile procedura "leggera" possa consentire, in modo efficace
e concreto, il riconoscimento della dignita' della persona trattenuta
(anche  se  straniera)  e  la  esplicazione dei suoi diritti di piena
difesa,  diritti  previsti anche dalla Convenzione europea 4 novembre
1950  per  i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata
dall'Italia  con legge 4 agosto 1955 n. 848, oltre che dal protocollo
n. 7  alla  convenzione  per  la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali  (adottato  a Strasburgo il 22 novembre
1984,  ratificato  e reso esecutivo dall'Italia con la legge 9 aprile
1990,  n. 98) e dal patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici,  fatto  a  New York il 19 dicembre 1966, (ratificato con la
legge   25   ottobre  1977  n. 881),  e dunque  oggetto  di  doverosa
applicazione  in forza dell'art. 10 della Costituzione. D'altro canto
gli  artt. 3  e  13  vengono  in  considerazione  per il fatto che la
Costituzione  impone  che  la  convalida  (di  atti restrittivi della
liberta'   personale)  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  assuma
ragionevoli   forme  procedimentali  al  fine  di  rendere  effettiva
l'inviolabita' della medesima liberta' al di fuori dei tassativi casi
di legge.
    Lo  stesso  art. 14, comma 4, del testo unico, risulta inoltre in
contrasto  con  gli artt. 3, 10 e 111 della Costituzione (per ragioni
analoghe a quelle gia' illustrate) nella parte in cui non consente al
giudice  procedente  di svolgere autonomi e approfonditi accertamenti
sulla  concreta  sussistenza  delle  ragioni che sole giustificano, a
norma  del  medesimo  art. 14 del testo unico, il "trattenimento". La
assoluta  genericita' delle motivazioni addotte dal questore mediante
la barratura di riquadri accanto a parafrasi dell'art. 14 comma 1 del
testo unico, invero, esclude che il giudice possa seriamente valutare
la  fondatezza  e  la  permanente  sussistenza dell'impossibilita' di
accompagnamento  immediato. Per esempio, mancando ogni elemento circa
il  vettore concretamente scelto, il giudice non potra' apprezzare se
la  discrezionalita'  amministrativa  abbia avuto qualche ruolo nella
durata della indisponibilita' del vettore medesimo.
    In  proposito,  mette  conto  sottolineare che, in tema di misure
custodiali,  la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato
che  esse devono ancorarsi a una rigorosa gamma di presupposti (gravi
indizi di colpevolezza relativi a delitti puniti con pene superiori a
precisi limiti edittali; solo allora possono aver rilievo le esigenze
cautelari,    comunque   nei   limiti   dettati   dai   principi   di
proporzionalita' e adeguatezza). Gia' con la sentenza n. 39/1970, per
esempio,  codesta  onorevole  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
dell'art. 220  T.U.L.P.S.,  che  prevedeva l'arresto in flagranza per
reati  puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria. Anche con la sentenza
n. 1/1980  - pronunciata dunque in anni che poi si sarebbero detti di
piombo -, si sono individuati limiti di contenuto per la legislazione
in  materia  di  coercizione personale, ed e' legittima la sensazione
che la Corte intendesse allora escludere la possibilita' di dar corso
alla  privazione  della  liberta'  personale  in  ambiti  diversi dal
processo penale.
    Nel  caso  del  "trattenimento",  per converso, la fattispecie di
base  (l'illecito amministrativo rappresentato dall'ingresso illegale
in   Italia)  risulta  sicuramente  caratterizzata  da  un  disvalore
giuridico  e  sociale  parecchio minore rispetto a quello dei delitti
che  consentono  l'applicazione di misure coercitive. Risulta percio'
difficile  sussumere nel precetto costituzionale della ragionevolezza
un istituto, come la detenzione amministrativa in esame, che non solo
si fonda su presupposti di gravita' espressamente valutata minore dal
legislatore   (si   tratta,   come   detto,   di   un  mero  illecito
amministrativo)  ma  per  giunta  consente che tali presupposti siano
unicamente  enunciati  in  forma  per  lo  piu'  affatto generica nel
decreto  che  dispone il "trattenimento" medesimo, senza possibilita'
di riscontro da parte del giudice.
    Ancora,  l'art. 14,  comma  4  del testo unico risulta inoltre in
contrasto  con  l'art. 3  e  con  l'art. 111 della Costituzione nella
parte  in cui non consente al giudice procedente di svolgere autonomi
accertamenti  sulla  concreta  sussistenza  di  allegate  ragioni che
legalmente  (come per esempio nel caso di una donna in stato iniziale
di  gravidanza  o  nel  caso  di  chi  abbia  richiesto  la sanatoria
(escludono   sia   pure  temporaneamente  l'espellibilita'  e  dunque
sarebbero  tali  da  travolgere  anche il "trattenimento" che su quel
presupposto si fonda) poiche', disapplicato quel decreto prefettizio,
anche il decreto questorile risulterebbe caducato).
    L'art. 14, comma 3 del medesimo testo unico, e del pari l'art. 20
del  regolamento  (d.P.R.  n. 394/1999)  omettono  di  imporre che il
Questore   contestualmente   alla   trasmissione   degli   atti  alla
Cancelleria  del  giudice della convalida) provveda anche a informare
dell'avvenuto  inizio  del  "trattenimento"  (ossia dell'inizio della
detenzione  amministrativa)  il  difensore  di  fiducia eventualmente
nominato dallo straniero o quello di ufficio desumibile dagli elenchi
appositi.  Cio'  pare  in contrasto con l'art. 24 della Costituzione,
poiche'  l'omissione  del  tempestivo  avviso non consente alla parte
afflitta  dalla  misura  di  approntare  le  opportune difese col suo
patrono con adeguata ponderazione.
    In  proposito,  non e' inutile ricordare che all'iniziale mancata
previsione  di  assistenza  obbligatoria  di  difensore  si  e' posto
rimedio solo col d.P.R. n. 394 del novembre 1999, norme di attuazione
del   testo   unico   sull'immigrazione.   Tuttavia,  l'art.  20  del
regolamento  dispone (diversamente dall'art. 386, comma 2 del c.p.p.)
che  solo  lo  straniero venga avvisato che nell'udienza di convalida
sara'  assistito  da un difensore d'ufficio. Ma cio' significa che il
difensore   d'ufficio   sara'  designato  solo  successivamente,  dal
giudice, e avvisato piu' tardi dalla Cancelleria, all'ultimo momento,
come  pure quello di fiducia. Appare allora evidente che il difensore
non  ha  potuto colloquiare preventivamente con il suo assistito, ne'
ha  potuto  predisporre  un  ricorso  contro l'espulsione che, pur in
presenza   dei   presupposti,  avesse  una  qualche  possibilita'  di
accoglimento.
    Il "trattenuto" vede percio' frustrata l'esperibilita' dell'unico
rimedio  che  abbia  qualche  chance  di  utilita',  ossia appunto il
ricorso  contro  l'espulsione.  Grave  risulta percio' la menomazione
concreta del diritto di difesa sotto il profilo della effettivita'.
    L'art. 14,  comma  5 del medesimo testo unico omette di prevedere
un  termine  massimo del "trattenimento" o detenzione amministrativa,
in quanto esclude che il giudice possa accertare se la stessa persona
trattenuta,  in  forza  del  medesimo decreto di esplusione, sia gia'
stata  "trattenuta"  in  precedenza  per  il periodo massimo di venti
giorni,   eventualmente   prorogati.   Cio'   pare  violare  l'art. 3
Costituzione.
    L'art. 14  inoltre  impone al giudice di provvedere, con un unico
atto,  a convalidare il "trattenimento" e autorizzare il protrarsi di
tale  detenzione  amministrativa  fino  al  limite  di  venti giorni,
prorogabili  poi  di altri dieci. Cio' rende evidente che al giudice,
in  contrasto  con  gli  artt. 3,  13  e  111  della Costituzione, e'
precluso di apprezzare nel caso concreto quale sia la durata, secondo
una    ragionevole    stima,    dell'allegata    impossibilita'    di
accompagnamento immediato alla frontiera. Reputa invece il remittente
che  una norma rispettosa dei diritti costituzionali fondamentali non
possa   che  devolvere  al  giudice  della  fattispecie  la  relativa
valutazione,  onde  consentire il migliore possibile contemperamento,
nel  caso  concreto,  delle  esigenze di tutela delle frontiere da un
lato,  e  del  sacrificio  della  liberta'  personale  della  persona
"trattenuta"  dall'altro.  Si  osservi in proposito che un periodo di
venti  giorni  di  detenzione amministrativa e' pari al quadruplo del
minimo edittale della (analogamente afflittiva) pena dell'arresto.
    Le questioni sopra sollevate risultano rilevanti per la decisione
sulla convalida del "trattenimento", in quanto:
        l'adozione di una diversa procedura, e segnatamente di quella
prevista   dal   codice   di  procedura  penale  per  l'analogo  caso
dell'arresto, garantirebbe alla persona trattenuta la possibilita' di
svolgere  compiutamente le proprie difese, dopo un approfondito esame
della  situazione  da  parte  della  persona  "trattenuta"  e del suo
difensore; cio' non e' invece attualmente possibile;
        la  piena esplicazione del diritto di difesa, da un lato, e i
poteri istruttori d'ufficio del giudice, consentirebbe a quest'ultimo
di  estendere il proprio controllo a elementi ulteriori rispetto alle
mere  enunciazioni  contenute negli atti amministrativi sottoposti al
suo  vaglio solo formale ed estrinseco nonche' alle allegazioni della
persona "trattenuta"; cio' non e' invece attualmente possibile;
        l'immediato  avviso al difensore avrebbe consentito il previo
incontro  di  costui con la persona "trattenuta" e quindi il libero e
pieno  esercizio  di  ogni  ragionevole  difesa;  cio'  non e' invece
attualmente possibile;
        l'esistenza  di  un limite massimo di cumulo di periodi anche
successivi di "trattenimento" consentirebbe al giudice di verificarne
il   concreto   rispetto  nel  caso  presente;  cio'  non  e'  invece
attualmente possibile;
        il  potere di determinare con prudente apprezzamento il tempo
dell'allegata     impossibilita'    di    accompagnamento    coattivo
consentirebbe  al  giudice di contenere in un termine anche inferiore
ai  venti  giorni  la durata massima del "trattenimento"; cio' non e'
invece attualmente possibile.
    Qualora venisse riconosciuta fondata anche una sola delle censure
qui  illustrate,  sarebbe  allora possibile accertare l'insussistenza
delle  condizioni  necessarie  per la convalida e per il mantenimento
della  detenzione  amministrativa, e nell'ultimo caso sarebbe inoltre
possibile  limitare  il  sacrificio  della  liberta'  personale della
persona "trattenuta".
    Accertata   la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  e
considerata la loro rilevanza ai fini della decisione, vanno pertanto
adottati i provvedimenti di cui alla parte dispositiva.