IL TRIBUNALE Nel procedimento n. 542/2000 e in esito all'udienza di giovedi' 9 novembre 2000, ha pronunciato la seguente ordinanza. F a t t o Con decreto pronunciato a sensi dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998, il prefetto di Reggio Emilia disponeva l'espulsione, con accompagnamento alla frontiera, nei confronti della straniera Bicja Esmeralda nata a Elbasan (Albania) il giorno 2 dicembre 1978). Tale decreto prefettizio veniva notificato alla persona interessata in data 4 dicembre 1998. Con decreto del questore di Milano, poi, veniva disposto il "trattenimento" di tale persona nel centro di via Corelli in Milano, poiche' il questore (barrando la casella apposita) aveva ritenuto sussistente il presupposto relativo alla mancanza di vettore. Questo secondo decreto veniva notificato in data 7 novembre 2000. Gli atti relativi alla notifica dei sopra menzionati provvedimenti amministrativi venivano infine depositati presso la Cancelleria del tribunale in data 8 novembre 2000 alle ore 12. A questo giudice, a norma dell'art. 14 d.lgs. citato, e' ora demandato di convalidare il provvedimento di"trattenimento". Cio' dovrebbe avvenire in esito a un'udienza camerale, trattata secondo il rito disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. (espressamente richiamati dall'art. d.lgs. n. 286/1998). Con tale atto giudiziario di "convalida", oggi, sulla scorta della sola documentazione amministrativa fornita dal prefetto e dal questore (o meglio, sulla scorta dei due soli decreti sopra indicati e delle relative notificazioni), senza alcun potere istruttorio ufficiale, si dovrebbe pertanto: verificare che il fascicolo amministrativo sia stato depositato in Cancelleria entro quarantotto ore dal momento della notifica del provvedimento questorile (momento che si deve ritenere coincidente con quello di inizio del "trattenimento"); verificare che nel modulo prestampato, che costituisce il decreto di "trattenimento", sia stata barrata almeno una delle caselle poste a fianco delle frasi che riproducono il disposto normativo circa i presupposti del medesimo "trattenimento"; verificare che, dal momento del deposito in Cancelleria del fascicolo amministrativo a quello dell'inizio della presente udienza, non siano trascorse piu' di quarantotto ore; sentire la persona trattenuta, alla presenza del difensore avvisato dalla Cancelleria dopo il deposito degli atti. Qualora il "controllo" in questione dia esito positivo, questo giudice dovrebbe infine procedere alla convalida. Al momento fissato per l'audizione della persona "trattenuta , tuttavia, la stessa era gia' stata allontanata da via Corelli (cfr. verbale dell'udienza 9 novembre 2000 ore 11,40), sicche' il giudice non ha potuto procedere al suo interrogatorio e si e' riservato di decidere successivamente. Invero, la legge (e prima ancora la Costituzione della Repubblica) prevede che il giudizio di convalida del "trattenimento" debba aver luogo indipendentemente dall'eventuale sopravvenuto accompagnamento alla frontiera, sicche' non pare legittima ne' sufficiente una mera pronuncia di non liquet, dovendosi per contro esaminare anche in questo caso la legittimita' del trattenimento come sopra disposto e materialmente attuato. Si devono pertanto svolgere le seguenti osservazioni in: D i r i t t o Ritiene il remittente opportuno premettere che, in questa sede, dovendosi unicamente confrontare l'astratta corrispondenza del provvedimento amministrativo che dispone il trattenimento con la previsione di legge, non ci si potra' soffermare sui presupposti dell'espulsione, ne' sulle sue finalita' ne' sulle modalita' esecutive dell'accompagnamento. Pertanto va subito sottolineato che i dubbi investono direttamente, tutti e solo, la disciplina della presente udienza camerale. D'altro canto il remittente non ignora le precedenti pronunce di codesta Onorevole Corte, in particolare la sentenza 3-7 febbraio 2000, n. 31 (che, per gli obblighi derivanti da trattati internazionali, ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum volto ad abrogare l'intero testo unico di cui al d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286) e prima ancora la sentenza 13-21 novembre 1997 n. 353 (che, per l'impossibilita' di eludere da parte dello Stato l'obbligo di presidiare le proprie frontiere, ha dichiarato non fondato un dubbio di legittimita' sollevato non dal tribunale di Milano, bensi' dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, circa la negazione di tutela delle persone straniere anche per i casi umani piu' dolorosi). In altri termini, lo scrivente non puo' non prendere atto che, come osservato appunto nella sentenza 353/1997, "le regole stabilite in funzione d'un ordinato flusso migratorio e di un adeguata accoglienza vanno ... rispettate". Lo scrivente, peraltro, neppure puo' trascurare di osservare che proprio la legge in tema di immigrazione e di condizione delle persone straniere, per esempio all'art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286/1998, sancisce solennemente che la persona straniera "comunque presente ... nel territorio dello Stato" (e quindi anche a chi vi soggiorni in modo non conforme alle leggi) gode tuttavia di tutti i diritti fondamentali dell'essere umano, come espressamente stabilito anche dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998; "allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti". Tale osservazione, d'altra parte, risulta confortata anche dalla recente sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198, di codesta Onorevole Corte. Orbene, poiche' appare difficile credere che il legislatore nazionale si sia voluto limitare a enunciare, sia pure con altisonanza, il principio della pari dignita' del cittadino e della persona straniera, senza poi riconoscergliela nelle situazioni concrete; poiche' insomma pare difficile supporre che il legislatore nazionale abbia davvero inteso sterilizzare a priori ogni seria possibilita' di difesa, di azione e di tutela dello straniero, quanto meno nella presente fase, appare allora doveroso svolgere le seguenti osservazioni. Muovendo dalla condizione giuridica dello straniero anche irregolarmente soggiornante nel territorio italiano, considerando la natura reale del "trattenimento", esaminando poi le norme costituzionali rilevanti in materia, si potranno forse meglio delineare i dubbi di legittimita' costituzionale della normativa che dovrebbe essere oggi applicata dallo scrivente. I diritti costituzionali dello straniero L'approccio interpretativo prevalente in dottrina e' nel senso che i diritti inviolabili ineriscono alla persona in quanto tale, si' che essi devono essere pienamente riconosciuti anche in favore degli stranieri, compresi quelli che si trovino in posizione formalmente irregolare. Quanto alla giurisprudenza costituzionale, anch'essa, sin dalla sentenza n. 120 del 1967, ha affermato che "se e' vero che l'articolo 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, e' anche certo che il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare [...] diritti fondamentali". Per questo anche a tutti gli stranieri e' stata riconosciuta un'ampia serie di diritti fondamentali: il diritto alla liberta' personale, il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza, il diritto alla tutela giurisdizionale, la liberta' di manifestazione del pensiero, la liberta' di associazione, il diritto alla segretezza della corrispondenza, la liberta' di religione, il diritto alla salute, i diritti di famiglia. Proprio in tema di diritto di famiglia, di recente tale riconoscimento e' avvenuto con varie pronunce che hanno accolto altrettante eccezioni di illegittimita' costituzionale: la sentenza 12-27 luglio 2000, n. 376, ha dichiarato illegittimo l'art. 17 comma 2 lettera d, della legge 6 febbraio 1998 n. 40, poi trasfusa nell'art. 19, comma 2 lettera d, del d.lgs. n. 286/1998, in quanto non estendeva il divieto di espulsione anche al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, in quanto tale omissione risultava ledere i principi di protezione dell'unita' familiare e i diritti umani fondamentali inerenti la comune responsabilita' dei genitori nell'educazione dei figli; la Corte ha infatti ritenuto che la legge ordinaria avesse violato in quel caso gli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione, nonche' la Convenzione europea 4 novembre 1950 per i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848; la sentenza 17-26 giugno 1997, n. 203, richiamando la n. 28 del 1995, ha affermato che "la garanzia della "convivenza del nucleo familiare si radica "nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa, ai figli minori ; e che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e percio' tenerli con se', e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unita' della famiglia, sono (...) diritti fondamentali della persona che percio' spettano in via di principio anche agli stranieri"; la sentenza 6-13 febbraio 1995, n. 34, ha dichiarato illegittimo l'art. 7-bis del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito nella legge n. 39/1990, nella parte in cui prevedeva il reato dello straniero che non si fosse "adoperato" per ottenere dall'autorita' diplomatica o consolare il necessario documento di viaggio; la Corte ha infatti ritenuto che una definizione normativa cosi' generica, priva di un referente naturalistico concreto, violasse l'art. 25 Costituzione siccome non era rispettosa del principio di tassativita' della fattispecie contenuta nella riserva assoluta di legge in materia penale, principio consacrato appunto nell'art. 25 della Costituzione e dunque valido anche per tutte le persone straniere. Ma pure altre recenti pronunce, pur dichiarando la non fondatezza dei dubbi prospettati in quanto alle lamentate lacune si sarebbe dovuto sopperire con una diversa interpretazione da parte dei giudici di merito, hanno riaffermato che anche in capo alla persona straniera comunque presente sul territorio italiano vanno riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana, e in particolare quello di difesa ex art. 24 Costituzione: la sentenza 8-22 giugno 2000, n. 227, ha affermato che la persona straniera ha sempre diritto a conoscere, nella sua lingua, i provvedimenti coercitivi o comunque pregiudizievoli adottati nei suoi confronti (nella specie, il provvedimento prefettizio di espulsione), trattandosi fra l'altro di un diritto garantito, oltre che implicitamente dall'art. 24 della Costituzione, anche dall'art. 1 del protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo dall'Italia con la legge 9 aprile 1990, n. 98; dall'art. 13 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, fatto a New York il 19 dicembre 1966, ratificato con la legge 25 ottobre 1977, n. 881); la sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198, aveva precedentemente enunciato affermazioni analoghe, fornendo una interpretazione adeguatrice dell'art. 13, comma 8 del d.lgs. n. 286/1998, e rinnovando espressamente l'affermazione che "lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio effettivo implica che il destinatario di un provvedimento,variamente restrittivo della liberta' di autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto e il significato"; analogamente aveva stabilito codesta Onorevole Corte con la sentenza 12-19 gennaio 1993, n. 10, respingendo l'eccezione gia' allora sollevata dall'Avvocatura di Stato, secondo cui il rispetto del principio di uguaglianza non impone una assoluta identita' di trattamento normativo per situazioni oggettivamente diversificate; in tale occasione la Corte aveva anche ricordato che "il diritto dell'imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi dell'imputazione contestatagli dev'esser considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile", ricordando altresi' il principio della effettiva partecipazione dell'imputato allo sviluppo della sequenza procedimentale come intrinsecamente connesso al diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, e sottolineando che tale principio va riferito a tutte le fasi del processo. Da un simile quadro giurisprudenziale, emerge dunque in modo assolutamente inconfutabile che qualunque essere umano, e dunque anche ogni persona straniera, comunque presente nel territorio italiano, come ha espressamente proclamato codesta Onorevole Corte, "gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana". La detenzione amministrativa Il "trattenimento" nei "centri di permanenza temporanea" e' stato istituito dalla legge n. 40/1998 e poi trasfuso nell'art. 14 del d.lgs. n. 286/1998. Esso ha il dichiarato scopo di superare i limiti ravvisati circa la cosiddetta legge Martelli, costruita intorno all' istituto dell'intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato, cui l'accompagnamento coatto alla frontiera seguiva solo nei casi di inottemperanza, nonche' i limiti del successivo decreto Conso (d.l. n. 107/1993), leggi sulle cui ceneri e' poi nata la legge n. 40/1998 (Napolitano - Turco), ora raccolta in testo unico nel d.lgs. n. 286/1998. che tale "trattenimento" abbia introdotto nel nostro ordinamento la detenzione amministrativa, risulta innegabile sol che si consideri che esso si connota: come una restrizione della liberta' personale per un periodo di venti giorni (prorogabili a trenta), periodo peraltro indefinitamente e discrezionalmente reiterabile fino a quando l'espulsione non sia eseguita (cio' che ben puo' dipendere da elementi sottratti alla volonta' dello straniero, come l'indisponibilita' del vettore o la mancanza di collaborazione delle autorita' consolari estere per la sua identificazione); come una sanzione, benche' senza reato da espiare, disposta con un atto amministrativo sostanzialmente discrezionale anziche' con atto dell'autorita' giudiziaria motivato sia sui presupposti sia sulla durata; come atto amministrativo soggetto a un controllo giurisdizionale che, se non altro a causa della procedura camerale prescelta, risulta decisamente attenuato nel suo contenuto e per l'effettivita' del contraddittorio che lo precede; come condizione avverso la quale la persona che vi si trova e' sostanzialmente neutralizzata nell'esercizio dei diritti effettivi di difesa; come un istituto per la tutela della cui effettivita' la legge attribuisce notevoli poteri all'autorita' di polizia (per esempio il potere - ex art. 13, comma 7 del d.lgs. n. 286/1998 - di ripristinare senza ritardo la "misura" qualora essa sia stata violata); come una misura destinata ad incidere notevolmente, per l'intensita' e la durata di compressione della liberta' fisica dello straniero da espellere, sul diritto fondamentale tutelato dall'art. 13 della Costituzione. In questo modo, al sottosistema strettamente penale (tendenzialmente improntato al rispetto delle garanzie costituzionali) e al sottosistema di polizia e di ordine pubblico (motivato da istanze di difesa sociale e quindi disancorato da quelle garanzie), si e' deciso di affiancare una sorta di diritto speciale dello straniero. Tale diritto speciale si distingue per il fatto che crea una condizione che sottopone l'immigrato a continui controlli di polizia, a cagione della ritenuta natura perpetua dell'illecito amministrativo che gli si imputa (ossia l'ingresso irregolare nel nostro paese), e che neppure una condotta virtuosa, per quanto protratta nel tempo, potra' mai valere a sanare, a differenza di quanto accade per i delitti grazie a istituti sia ordinari) (per esempio la sospensione condizionale della pena e la riabilitazione) sia straordinari (come l'amnistia) che il nostro ordinamento appronta. Trattandosi di misura notevolmente afflittiva, il cui contenuto e' assolutamente comparabile alla custodia in carcere, appare evidente che anche alla detenzione amministrativa, definita dalla legge "trattenimento in un centro di accoglienza", devono applicarsi le garanzie previste dai diritti fondamentali della persona umana. Dunque, dovendosi riconoscere per gli argomenti innanzi svolti, che il principio di eguaglianza vale anche per tutti gli stranieri, e' inevitabile individuare nel regime penalistico, per esempio dell'arresto, il tertium comparationis necessario ai fini del controllo di ragionevolezza e di uguaglianza, in relazione all'art. 3 della Costituzione. I dubbi di legittimita' costituzionale Il remittente, astretto da una disciplina palesemente intesa a consentire al giudice solo un burocratico controllo astratto e formale, una disciplina che appare solo formalmente ossequiosa del precetto costituzionale, sottopone pertanto al vaglio di codesta Onorevole Corte i seguenti dubbi. L'art. 14, comma 4, testo unico n. 286/1998 dispone che il giudice debba osservare per la convalida la procedura di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. Tale procedura si applica normalmente, e per la sua stessa natura, a oggetti sostanziali che non incidono su diritti o non incidono in posizione di contrasto, tanto che e' destinata a concludersi con provvedimenti strutturalmente revocabili modificabili e quindi inidonei a passare in giudicato. Queste caratteristiche strutturali danno origine a procedimenti camerali semplificati rispetto ai quali risulta ragionevole la forte attenuazione delle garanzie del contraddittorio e delle prove cosi' come l'impugnabilita' attraverso semplice reclamo. Ebbene, in tale parte il menzionato art. 14, comma 4, pare essere in contrasto con gli artt. 3, 10, 13 e 24 della Costituzione, poiche' deve dubitarsi che una simile procedura "leggera" possa consentire, in modo efficace e concreto, il riconoscimento della dignita' della persona trattenuta (anche se straniera) e la esplicazione dei suoi diritti di piena difesa, diritti previsti anche dalla Convenzione europea 4 novembre 1950 per i diritti dell'uomo e le liberta' fondamentali, ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848, oltre che dal protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo dall'Italia con la legge 9 aprile 1990, n. 98) e dal patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, fatto a New York il 19 dicembre 1966, (ratificato con la legge 25 ottobre 1977 n. 881), e dunque oggetto di doverosa applicazione in forza dell'art. 10 della Costituzione. D'altro canto gli artt. 3 e 13 vengono in considerazione per il fatto che la Costituzione impone che la convalida (di atti restrittivi della liberta' personale) da parte dell'autorita' giudiziaria assuma ragionevoli forme procedimentali al fine di rendere effettiva l'inviolabita' della medesima liberta' al di fuori dei tassativi casi di legge. Lo stesso art. 14, comma 4, del testo unico, risulta inoltre in contrasto con gli artt. 3, 10 e 111 della Costituzione (per ragioni analoghe a quelle gia' illustrate) nella parte in cui non consente al giudice procedente di svolgere autonomi e approfonditi accertamenti sulla concreta sussistenza delle ragioni che sole giustificano, a norma del medesimo art. 14 del testo unico, il "trattenimento". La assoluta genericita' delle motivazioni addotte dal questore mediante la barratura di riquadri accanto a parafrasi dell'art. 14 comma 1 del testo unico, invero, esclude che il giudice possa seriamente valutare la fondatezza e la permanente sussistenza dell'impossibilita' di accompagnamento immediato. Per esempio, mancando ogni elemento circa il vettore concretamente scelto, il giudice non potra' apprezzare se la discrezionalita' amministrativa abbia avuto qualche ruolo nella durata della indisponibilita' del vettore medesimo. In proposito, mette conto sottolineare che, in tema di misure custodiali, la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato che esse devono ancorarsi a una rigorosa gamma di presupposti (gravi indizi di colpevolezza relativi a delitti puniti con pene superiori a precisi limiti edittali; solo allora possono aver rilievo le esigenze cautelari, comunque nei limiti dettati dai principi di proporzionalita' e adeguatezza). Gia' con la sentenza n. 39/1970, per esempio, codesta onorevole Corte ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 220 T.U.L.P.S., che prevedeva l'arresto in flagranza per reati puniti con la sola pena pecuniaria. Anche con la sentenza n. 1/1980 - pronunciata dunque in anni che poi si sarebbero detti di piombo -, si sono individuati limiti di contenuto per la legislazione in materia di coercizione personale, ed e' legittima la sensazione che la Corte intendesse allora escludere la possibilita' di dar corso alla privazione della liberta' personale in ambiti diversi dal processo penale. Nel caso del "trattenimento", per converso, la fattispecie di base (l'illecito amministrativo rappresentato dall'ingresso illegale in Italia) risulta sicuramente caratterizzata da un disvalore giuridico e sociale parecchio minore rispetto a quello dei delitti che consentono l'applicazione di misure coercitive. Risulta percio' difficile sussumere nel precetto costituzionale della ragionevolezza un istituto, come la detenzione amministrativa in esame, che non solo si fonda su presupposti di gravita' espressamente valutata minore dal legislatore (si tratta, come detto, di un mero illecito amministrativo) ma per giunta consente che tali presupposti siano unicamente enunciati in forma per lo piu' affatto generica nel decreto che dispone il "trattenimento" medesimo, senza possibilita' di riscontro da parte del giudice. Ancora, l'art. 14, comma 4 del testo unico risulta inoltre in contrasto con l'art. 3 e con l'art. 111 della Costituzione nella parte in cui non consente al giudice procedente di svolgere autonomi accertamenti sulla concreta sussistenza di allegate ragioni che legalmente (come per esempio nel caso di una donna in stato iniziale di gravidanza o nel caso di chi abbia richiesto la sanatoria (escludono sia pure temporaneamente l'espellibilita' e dunque sarebbero tali da travolgere anche il "trattenimento" che su quel presupposto si fonda) poiche', disapplicato quel decreto prefettizio, anche il decreto questorile risulterebbe caducato). L'art. 14, comma 3 del medesimo testo unico, e del pari l'art. 20 del regolamento (d.P.R. n. 394/1999) omettono di imporre che il Questore contestualmente alla trasmissione degli atti alla Cancelleria del giudice della convalida) provveda anche a informare dell'avvenuto inizio del "trattenimento" (ossia dell'inizio della detenzione amministrativa) il difensore di fiducia eventualmente nominato dallo straniero o quello di ufficio desumibile dagli elenchi appositi. Cio' pare in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, poiche' l'omissione del tempestivo avviso non consente alla parte afflitta dalla misura di approntare le opportune difese col suo patrono con adeguata ponderazione. In proposito, non e' inutile ricordare che all'iniziale mancata previsione di assistenza obbligatoria di difensore si e' posto rimedio solo col d.P.R. n. 394 del novembre 1999, norme di attuazione del testo unico sull'immigrazione. Tuttavia, l'art. 20 del regolamento dispone (diversamente dall'art. 386, comma 2 del c.p.p.) che solo lo straniero venga avvisato che nell'udienza di convalida sara' assistito da un difensore d'ufficio. Ma cio' significa che il difensore d'ufficio sara' designato solo successivamente, dal giudice, e avvisato piu' tardi dalla Cancelleria, all'ultimo momento, come pure quello di fiducia. Appare allora evidente che il difensore non ha potuto colloquiare preventivamente con il suo assistito, ne' ha potuto predisporre un ricorso contro l'espulsione che, pur in presenza dei presupposti, avesse una qualche possibilita' di accoglimento. Il "trattenuto" vede percio' frustrata l'esperibilita' dell'unico rimedio che abbia qualche chance di utilita', ossia appunto il ricorso contro l'espulsione. Grave risulta percio' la menomazione concreta del diritto di difesa sotto il profilo della effettivita'. L'art. 14, comma 5 del medesimo testo unico omette di prevedere un termine massimo del "trattenimento" o detenzione amministrativa, in quanto esclude che il giudice possa accertare se la stessa persona trattenuta, in forza del medesimo decreto di esplusione, sia gia' stata "trattenuta" in precedenza per il periodo massimo di venti giorni, eventualmente prorogati. Cio' pare violare l'art. 3 Costituzione. L'art. 14 inoltre impone al giudice di provvedere, con un unico atto, a convalidare il "trattenimento" e autorizzare il protrarsi di tale detenzione amministrativa fino al limite di venti giorni, prorogabili poi di altri dieci. Cio' rende evidente che al giudice, in contrasto con gli artt. 3, 13 e 111 della Costituzione, e' precluso di apprezzare nel caso concreto quale sia la durata, secondo una ragionevole stima, dell'allegata impossibilita' di accompagnamento immediato alla frontiera. Reputa invece il remittente che una norma rispettosa dei diritti costituzionali fondamentali non possa che devolvere al giudice della fattispecie la relativa valutazione, onde consentire il migliore possibile contemperamento, nel caso concreto, delle esigenze di tutela delle frontiere da un lato, e del sacrificio della liberta' personale della persona "trattenuta" dall'altro. Si osservi in proposito che un periodo di venti giorni di detenzione amministrativa e' pari al quadruplo del minimo edittale della (analogamente afflittiva) pena dell'arresto. Le questioni sopra sollevate risultano rilevanti per la decisione sulla convalida del "trattenimento", in quanto: l'adozione di una diversa procedura, e segnatamente di quella prevista dal codice di procedura penale per l'analogo caso dell'arresto, garantirebbe alla persona trattenuta la possibilita' di svolgere compiutamente le proprie difese, dopo un approfondito esame della situazione da parte della persona "trattenuta" e del suo difensore; cio' non e' invece attualmente possibile; la piena esplicazione del diritto di difesa, da un lato, e i poteri istruttori d'ufficio del giudice, consentirebbe a quest'ultimo di estendere il proprio controllo a elementi ulteriori rispetto alle mere enunciazioni contenute negli atti amministrativi sottoposti al suo vaglio solo formale ed estrinseco nonche' alle allegazioni della persona "trattenuta"; cio' non e' invece attualmente possibile; l'immediato avviso al difensore avrebbe consentito il previo incontro di costui con la persona "trattenuta" e quindi il libero e pieno esercizio di ogni ragionevole difesa; cio' non e' invece attualmente possibile; l'esistenza di un limite massimo di cumulo di periodi anche successivi di "trattenimento" consentirebbe al giudice di verificarne il concreto rispetto nel caso presente; cio' non e' invece attualmente possibile; il potere di determinare con prudente apprezzamento il tempo dell'allegata impossibilita' di accompagnamento coattivo consentirebbe al giudice di contenere in un termine anche inferiore ai venti giorni la durata massima del "trattenimento"; cio' non e' invece attualmente possibile. Qualora venisse riconosciuta fondata anche una sola delle censure qui illustrate, sarebbe allora possibile accertare l'insussistenza delle condizioni necessarie per la convalida e per il mantenimento della detenzione amministrativa, e nell'ultimo caso sarebbe inoltre possibile limitare il sacrificio della liberta' personale della persona "trattenuta". Accertata la non manifesta infondatezza delle questioni e considerata la loro rilevanza ai fini della decisione, vanno pertanto adottati i provvedimenti di cui alla parte dispositiva.